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“Labirinti di luce, linee che si intersecano, che si intrecciano senza spezzarsi mai, che rincorrono la memoria, un groviglio di emozioni e sentimenti che si materializzano in una composizione dilatata, tridimensionale, che i confini della tela riesce appena ad arginare.  Le opere di Ruggiero Spadaro, rincorrono la luce per diventare luce, si snodano su “fondali” dominati da una composita, ma non statica, ricchezza cromatica che riconduce alla trans-avanguardia. Il movimento della luce e il filo sottile che ne intreccia il percorso insegnano a navigare, ad andare sempre più avanti nel labirinto misterioso della conoscenza, del sapere, spingono ad andare oltre, ad avanzare all’interno di una composizione poetica che esplode da una grande sensibilità artistica: in tutte le tele si coglie un’inquietudine creativa priva di pause o incertezze”.


Giovanni Ingoglia
(Direttore della rivista LABIRINTI)
curatore della Fondazione Orestiadi Museo d'Arte Contemporanea Gibellina

Per SPADARO RUGGIERO non ci può essere una pittura spaziale, ma solo un concetto spaziale dell’arte. Come interpreta, in termini inediti, la relazione tra l’uomo e lo spazio che lo circonda? L’opera di Spadaro non incarna un senso profondo di ribellione, ma è evidente, più che altrove, il concetto dell’interdisciplinarità dei linguaggi artistici nell’accostamento, e nella diversa modulazione di spessore del colore. Si legge sulla tela come un’armonia di note musicali, l’affermarsi di una personale dimensione, quella del piacere trasferito e vissuto attraverso l’intensità della visione ma slegato da essa. Quella di Spadaro è arte connotativa, aperta a molteplicità di interpretazioni e da tutti fruibile. Alla base del dettato cromatico, c’è il duplice rapporto, duale e dialettico, corpo-anima e gesto-colore, che vibrano in sintonia. E basta guardare l’opera per vedere la libertà, l’immediatezza, l’istintività di questa pittura che, attraverso il colore-anima ed il tocco, lanciano un messaggio diretto che colpisce il lettore e lo porta oltre la visione descrittiva. Spazio d’invenzione totalmente libero. Tema aperto. Che l’opera è una mutazione del tempo, cioè della temporalità lineare e della discontinuità, apparizione e sparizione, trasparenza/consistenza, costituiscono il percorso comune di un’apparente astrattismo Del nascondere, però, nel gesto pittorico, una memoria del sentimento ispiratore, di un’immagine che è la natura; la sua verità si è fatta lampo.

 

Alfredo Pasolino
(Presidente della Giuria - Premio Stella Maris)
Margherita di Savoia - Agosto 2003

Come nella migliore regola informale Ruggiero Spadaro fa di segno, colore e materia i mezzi espressivi di riferimento al suo fare arte. Ma nella più pura tradizione italiana, che ha tratto dai maestri di oltreoceano una sua specificità di lettura e riproposizione; Spadaro elabora, con riferimenti illustri -Celiberti per citare il più evidente- una pittura della memoria e del racconto che rifugge dal descrittivo per privilegiare l’impatto emotivo e la forza evocativa dell’opera. Il sui lavoro risulta una eccellente fusione tra una materia pittorica, magicamente sospesa nelle impennate cromatiche del rosso ed una scrittura o grafia di simboli in successione che caratterizzano l’assunto di sviluppo concettuale stesso, proiettato a rintracciare nuovi interpreti dell’arte tra tradizione e globalizzazione. Nel volutamente trascurare tutto il patrimonio di cultura e tradizione che sovente caratterizza la pittura del Sud, Ruggiero Spadaro si propone come artista di una stimolante seppur esteticamente consolidata avanguardia; una avanguardia che rifiuta gli impianti iconografici consueti per riversarsi provocatoriamente verso il crinale di quella “pittura/pittura” oggi più che mai attenta a non confondersi nel fenomeno mediatico e nell’azzeramento dell’artista che veicola emozioni universali.

 

Valerio Grimaldi
(Presidente della Giuria - V Concorso d’Arte Sacra)
Barletta 1-15 Dicembre 2002

 

 

 

Un'intensità che non  ha  uguali, qualcosa che fa vibrare  la pelle che  affiora  quasi  mortificandola.
Lontani  bagliori, con atmosfere quasi alchemiche di un  gusto  che si  avverte  un  qualcosa, una  riminiscenza, uno sguardo alla Pollock  per il gesto quasi  convulso  che  sapeva trovare slanci  e  riflessioni così era  ed è la pittura dell'artista Ruggiero  Spadaro ed opere  come “Luce  nelle  tenebre” - ”Oltre” enunciano quanto appena detto.

Se l'esito già alto, maturo di una pittura informale ha trovato  un ulteriore tassello, arricchendo così anche  il suo tratto interiore ovvero dando voce ad un qualcosa che  non si  può più nascondere, tacere  ovvero ciò che  è stato l'Olocausto: lo sterminio indiscriminato di un intero popolo ovvero  quello ebraico. L'arte  di Ruggiero Spadaro è diventata un monito per ricordare e  non dimenticare.
Sono comparsi fitti segni sulla tela, non più gestuali, ma riflessivi, segni-figurativi
come “Al di là del muro” - ”Il simbolo del male”.
E’ raro trovare in un giovane  artista un carattere  espressivo che punti ancora sul sociale dando  voce a  chi  non  c'è  più in  una modulazione di grazia, bellezza estetica e profuso cromatismo.

Davvero un artista da seguire per continuare a vedere sia la sua propensione pittorica, sia il ricordo
di un popolo.

 

Valeria S. Lombardi
(Dott.ssa in storia dell'arte contemporanea)

Il gioco delle parti: le sculture di Ruggiero Spadaro. In una stanza vuota, senza finestre, davanti a me sono apparsi questi nuovi lavori di Ruggiero Spadaro; sono disposti a file di cinque e sembrano essere pronti a subire l’ennesima violenza, l’ultima…la capitale. Sui corpi già mutilati, a rendere ancora più evidenti le contraddizioni, non solo di alcune nazioni (quelle in cui è ancora ammessa) ma di tutta la società civile, anche segni di un percorso umano tradito, lacerato, distrutto. A questi corpi si è tolta qualsiasi possibilità, qualsiasi movimento, qualsiasi dignità e la cosa più agghiacciante è rappresentata proprio dalla scelta dell’artista di aver mantenuto intatto il volto; un volto, quasi sempre rappresentato senza gli occhi, la bocca e il naso, che non possiede più una propria fisionomia, come se fosse stato incappucciato da un esecutore misterioso senza scrupoli, pronto come suggerirebbe Dostoevskij, a raccogliere la mannaia. Quelle teste incappucciate rappresentano la coscienza di entrambi gli interlocutori: di chi aspetta l’esecuzione della condanna e di chi quella condanna la infligge e la impone come giustizia divina; Spadaro, in questo modo, pone gli antagonisti sulla stessa superficie, un livello che non vuole assolutamente essere inquisitorio nei confronti di una o di entrambe le parti ma vuole portare alla luce quelle contraddizioni che alimentano il dibattito intellettuale sull’argomento. Queste sculture rappresentano drammaticamente il sopraggiungere della morte e immortalano il malcapitato nel momento in cui gli è concesso il tempo per l’ultimo pensiero, quello più atroce. Il passaggio terreno è rappresentato con una serie di rimandi che contemplano una ricerca artistica che si basa sulla conoscenza delle avanguardie europee e che coglie spunti soprattutto dalla storia della cultura italiana; ecco apparire i muri e i graffiti di Terezin su cui Giorgio Celiberti ha costruito la propria poetica, i manichini metafisici del primo de Chirico, le soluzioni stilistiche del Paladino più estremo, l’esperienza agghiacciante di Primo Levi, le disquisizioni intellettuali sulla pena capitale dei personaggi di Leonardo Sciascia a cui Gianni Amelio nel film tratto dal suo libro Porte Aperte contribuisce arricchendo la discussione con nuovi interrogativi e nuovi dubbi, le provocazioni di Vettor Pisani e i colori fortemente espressionisti di tanta pittura italiana post-bellica.
Non sono in grado di parlare della pena di morte ma so che l’artista pugliese ha già affrontato temi scottanti come la Shoah e quindi esulo da questo compito, sono convinto che queste sculture hanno la forza di argomentare senza intermediazioni intellettuali e sono autonomamente in grado di porre degli spunti visivi sicuramente più concreti di qualsiasi tentativo retorico ben architettato e di qualsiasi azione di convincimento studiata sapientemente a tavolino.

Piero Boccuzzi

(Direttore Galleria Rosso41)

 

 

 

Art Director nella quotidianità professionale, non molto lontana dalla sua vocazione per la pittura che cura con passione, anch'essa, quotidiana, Rugg(i)ero Spadaro, - non so se con la "i" o senza la "i" per non far torto a quanti, sulle Gazzette locali, si sono impegnati a ricercare valide ragioni storico-etimologiche per rivendicare all'anagrafe territoriale l'invasione di quella vocale volta a caratterizzare un'unicità etnica che identificherebbe, tutti i Ruggiero anziché Ruggero, dotati del  marchio di natalità doc  barlettana, - è nato, di certo, a Barletta.
Ha studiato pittura a Brera sotto la guida di valentissimi maestri ai quali va ascritto il merito di avergli insegnato le tecniche più ardite dell'arte e, ancor di più, per aver contribuito ad avvalorare la sua personale convinzione di considerare, l'artista, un perenne "impegnato" nel campo della Ricerca. Direbbero di lui, i francesi, che di pittura e d'arte in genere se ne intendono, che è un "engagé".
A prima vista non scorgi l'animo dell'innovatore. La "vis" che caratterizza la prima fase della via sperimentale come itinerario necessario e indispensabile per accedere alla Ricerca, sia nel campo scientifico come in quelli più largamente sociali ed artistici, si fa strada lentamente, in Ruggiero Spadaro, ed abbisogna di un tempo di affabulazione per emergere in tutta la sua esplosività coinvolgente.
D'altra parte, affidare al cromatismo violento, accecante, spatolato e finanche "spalmato a  mano" più che al disegno finito, pulito e rifinito, che pur non manca nella competenza tecnica e nel patrimonio dei mezzi espressivi dell'artista, le suggestioni per una immediatezza comunicativa ed una fruibilità autointerpretativa, risulta una scelta programmata, pienamente rispettosa del ruolo, oggettivamente critico, dei soggetti, per così dire, consumatori del prodotto artistico.
Le recenti performance di Spadaro, approdano su un terreno estremamente delicato sia per l'ineffabilità connaturale degli eventi storici ai quali si riferiscono, sia per i contrastanti e, spesso, conflittuali giudizi critici che su quegli eventi stessi, pregiudizialmente, si esprimono. Parlare di SHOAH, in virtù dell'unicità di quel progetto di messa a morte, programmato e messo in atto nelle forme più folli che il cervello umano abbia potuto escogitare, è impresa estremamente difficile in tutte le variabili nelle quali il discorso possa essere affrontato
E' stato questo il dramma dei Testimoni che, nel tentativo di attuare una rimozione liberatoria dalle atrocità dei loro vissuti psicologici e delle torture fisiche subite, hanno per lungo tempo taciuto. Nel rispetto dell'autorevolezza e della dignità di PRIMO LEVI, un Testimone al quale va il merito di aver iniziato a parlare, Spadaro, ha osato, umilmente, dar corpo alla notevole documentazione su Auschwitz-Birkenau, tratta dalla lettura, in particolar modo, di "Se questo è un uomo" e de "La tregua", contribuendo significativamente a celebrarne la MEMORIA.
La "personale" che trova ospitalità nell'Archivio della Resistenza e della Memoria di Barletta, in contiguità e in continuità tematica con la mostra su "Le banalità delle leggi razziali del Terzo Reich - sulla responsabilità degli spettatori", si inserisce brillantemente nella produttiva fase di ricerca culturale che ha condotto, questa città, a vivere concretamente le sfide della contemporaneità per assicurare un mondo di solidarietà e di pace.


prof. Luigi Di Cuonzo

(Responsabile dell’Archivio della Resistenza e della Memoria)

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